Un seminario dedicato alla nuova comunicazione, ai suoi sviluppi e agli strumenti tecnologici a sua disposizione
Milano, 26 settembre 2017 – Negli anni passati Assosvezia si è occupata di varie tematiche legate al mondo del business – economia, finanza, risorse umane e IT, solo per citarne alcune – ma mai della comunicazione. Si tratta di un argomento inedito per la Camera, ma non di minore importanza rispetto a quanto finora trattato. Anzi, per molti aspetti la comunicazione è un fattore centrale e strategico per le aziende, che però troppo spesso si trovano confuse sul perché e il come impiegare gli strumenti a loro disposizione. Per far chiarezza sulla questione, Assosvezia ha organizzato un seminario da e per le aziende svedesi, ma altrettanto valido per qualsiasi impresa. A parlare un panel composto da relatori di gran prestigio: moderati da Roberto Carcano – Zero-starting ideas, hanno preso parte alla discussione Giuliano Noci – Professore Ordinario di Marketing e Prorettore del Polo territoriale cinese per il Politecnico di Milano, Federico Repetto – The Soulist, Alessandro Aquilio – Country Communication Manager di IKEA Retail Italy e Paolo d’Ammassa – CEO e Founder di Connexia. Il confronto si è focalizzato sul tema della sinergia tra strategia e tecnologia nell’ambito della comunicazione e del marketing, come metterle al servizio del brand e, soprattutto, perché farlo. Le testimonianze hanno esplorato l’argomento affrontandolo da punti di vista differenti – accademico, consulenziale, aziendale e di esperto di nuove tecnologie – realizzando, così, una fotografia aggiornata dello stato attuale dell’arte.
Come ben evidenziato dal Prof. Giuliano Noci, mai come ora serve che le imprese si dotino di un pensiero strategico di comunicazione al fine di poter superare i concorrenti. Infatti la fonte del vantaggio competitivo che permette di vincere la gara tra le aziende si è spostato a valle: la proposizione di valore è valida e tale solo se in grado di costruire una relazione. La cosiddetta value proposition di una marca è sempre meno incentrata sul cosa e più sbilanciata verso il come, ponendo l’accento sulla creazione di ecosistemi di valore, legami tra il cliente e il brand. La marcia in più di alcuni marchi è, appunto, la capacità di costruire un sistema virtuoso di connessioni incentrate sul cliente, che diviene unità di riferimento nella fase di progettazione del prodotto offerto. Perno fondamentale, il legante che tiene in piedi tutto lo schema, è la strategia, unico vero asso nella manica delle aziende intenzionate ad adattarsi al cambiamento in atto. La strategia da adottare richiede che i modelli finora utilizzati vengano ripensati a tal punto di scardinare l’offerta così com’è stata tradizionalmente intesa fino ad ora e di riorganizzarla avendo bene in mente due punti: value proposition e unità di riferimento, il cliente. Se studiata correttamente, una buona strategia genera l’effetto lock in, ovvero lo sviluppo di un legame forte tra consumatore e brand caratterizzato da fedeltà e ripetuta scelta dello specifico prodotto. Si può dire che strategia e marketing arrivino a sovrapporsi e intrecciarsi indissolubilmente, divenendo una cosa sola.
A questo punto sorgono spontanee alcune domande: il digitale e le veloci trasformazioni che porta con sé, come impattano sulle strategie, sul marketing e sui processi delle imprese? All’interno di questo scenario, la logica della marca ha ancora il suo perché? Se sì, quanto?
La risposta non deve sorprendere: sì, ora più che mai la logica della marca ha ancora senso. È infatti in un contesto di indigestione mediale, di continuo bombardamento di input provenienti da tanti e vari mezzi di comunicazione, che la capacità di costruire un’identità di marca diventa ancora più importante e soprattutto in modo tale che risulti declinabile sui molteplici canali a disposizione. La marca esprime contenuti e relazioni e per ciascuno di essi ci sono mezzi e modalità più adatte per trasmetterli. Ne scaturiscono legami emozionali fortissimi e diretti tra consumatori e brand, tanto che quest’ultimo si configura come vero e proprio polo gravitazionale che è in grado di superare le logiche di persuasione in fatto di efficacia. La tecnologia arriva solo in un secondo momento, a supporto della strategia e con lo scopo di veicolare i valori della marca. Tramite lo storytelling e la costruzione di una narrazione veritiera, coerente e continua del brand, la tecnologia si delinea come vettore dei valori; il rapporto tra strategia e tecnologia non può e non deve mai invertirsi, poiché metterebbe a rischio il valore stesso del marchio. A dimostrazione di questa relazione si possono prendere ad esempio gli ormai celebri big data. Da qualche tempo a questa parte si assiste a un febbrile accumulo di grandi quantità di dati – big data, appunto – con lo scopo e la speranza di scoprire sempre di più sui consumatori attuali e potenziali dei brand. Purtroppo, però, una grande quantità di dati rimane sterile se osservata in modo isolato. Affinché i big data si dimostrino veramente utili e in grado di generare insight preziosi per i marchi, è necessario che vengano integrati, capiti e modellizzati. La chiave di volta è la combinazione di dati, tecnologie e metodi di ricerca, il tutto supervisionato da una strategia stabilita a priori e in grado di segnare la strada da percorrere durante l’osservazione. Dunque la tecnologia diviene abilitante e al servizio del mondo dell’offerta solo quando guidata da conoscenza e strategia manageriale.
D’accordo sul rapporto tra strategia e tecnologia è Federico Repetto, consulente, strategist e globetrotter che si divide tra Italia e Svezia. Se è vero che la strategia continua a dare la direzione da seguire alla comunicazione, è altrettanto innegabile che la digitalizzazione abbia cambiato il modo di lavorare, creando anche nuove figure professionali o modificandone gli equilibri. Le nuove tecnologie sono in grado di comunicare ancora meglio i valori che i marchi racchiudono in sé e un ottimo esempio da prendere in considerazione è il brand Svezia. La Svezia come marchio è uno dei più chiari e potenti brand legati a una nazione che esistano al mondo. La sua potenza deriva principalmente dal fatto che le qualità che esso rappresenta sono implementate e vivibili quotidianamente nel Paese di origine e nelle realtà all’estero che la riguardano. Le qualità diffuse tramite la piattaforma valoriale scandinava – rispetto, trasparenza, attenzione alla natura, spazio personale, ecc… – rendono chi viene a contatto con esse un vero e proprio ambasciatore del marchio. Massimo esempio di tale fenomeno solo le aziende svedesi all’estero. Le imprese svedesi sono in grado di diffondere nel mondo, tramite il loro modus operandi e i propri dipendenti, l’assortimento di valori racchiusi nel brand Svezia e questo è molto apprezzato dai clienti, tanto da conferire loro una marcia in più rispetto alla concorrenza. In un’ottica di business sempre più customer centred, la stima che la svedesità riesce a riscuotere tra chi acquista si dimostra un vantaggio ormai irrinunciabile. Questi valori si riconosco anche nei prodotti, i quali racchiudono nel loro DNA le radici del brand Svezia e tutto ciò che esso comporta. È importante rimanere fedeli e rispettare l’origine dell’identità del brand, limitandosi ad attualizzarlo e non pensando di stravolgerlo completamente.
Nessuno meglio di IKEA può confermare l’importanza e il successo dato dalla costante difesa dei valori del proprio brand. Tramite la testimonianza di Alessandro Aquilio relativa alla strategia adottata e dalla continua crescita a livello globale dell’azienda, si ha la dimostrazione che tramite uno storytelling coerente delle proprie qualità, sebbene trattate parlando di temi che non hanno strettamente a che fare con il prodotto, è possibile avere un ottimo ritorno di valore ed equity del marchio. Tutto deriva dalla filosofia e dall’idea geniale del fondatore di IKEA, Ingvar Kamprad, di facilitare a tutti la vita quotidiana prescindendo dalle possibilità economiche. Kampard, nel suo progetto, ha unito un modello di business innovativo e contenuti di attivismo sociale. A più di 70 anni dalla sua fondazione, IKEA è un marchio moderno, sempre attuale e al passo con i tempi in mezzo a miliardi di input provenienti da ogni direzione, pur rimanendo al tempo stesso assolutamente fedele ai valori da cui è nata. La multicanalità dove IKEA si trova ad agire e comunicare è una sfida che spinge nella direzione dell’eccellenza, spronando l’azienda a saper cogliere o anticipare il cambiamento in atto. È questo l’unico modo di sopravvivere in un ecosistema estremamente dinamico: il cambiamento è inarrestabile e tanto vale andargli incontro preparati, poiché i marchi che si trincerano dietro al proprio passato, pur glorioso che sia, sono destinati al declino. Dunque IKEA ha riempito i propri mobili dei valori tramandati dal suo fondatore e li ha poi diffusi nel mondo portandoli avanti in ogni Paese in cui opera. Bellezza, accessibilità e diversità conducono alla scelta di fare dell’attivismo sociale la propria bandiera nelle campagne pubblicitarie, anche a costo di risultare antipatici a una parte del pubblico. La scelta di accollarsi un tale rischio fa parte dei principi fondanti di IKEA, che nasce proprio da una sfida visionaria e coraggiosa. In ogni Paese IKEA sceglie di parlare di una tematica specifica, che rispecchi la discussione sociale in atto, prendendo una posizione chiara e in linea con i propri principi. In Italia è stato scelto il tema della gender equality, con un focus particolare sulla parità salariale e sulla violenza contro le donne. Le campagne e gli spot televisivi sono pensati per sensibilizzare e far riflettere le persone su queste problematiche fortemente sentite all’interno della società. Ma come può un’azienda conciliare l’impegno su temi sociali e politici con i propri valori? IKEA sceglie di non rinunciare a nessuna delle due cose, continuando ad andare avanti per la propria strada, seguendo i suoi principi e intervenendo apertamente nella discussione solo quando ritiene che tali valori vengano messi in pericolo.
Passando a un aspetto più tecnico, Paolo d’Ammassa, si è riallacciato al discorso sulla tecnologia, di cui è profondo conoscitore per quanto riguarda le novità legate al mondo comunicazione, illustrando la connessione esistente tra dati e creatività. I dati di cui disponiamo oggi grazie alle nuove tecnologie, i già citati big data, sono ormai una parte stabile della comunicazione e hanno anche la funzione di circostanziare la creatività. Gli spunti forniti da questa grande mole di informazioni sono ormai irrinunciabili, ma purtroppo l’Italia sembra cominciare a capirlo solo ora. In base a una ricerca di PwC su Entertainment & Media in Italia, nel 2016 a livello Global la pubblicità su internet ha superato quella televisiva; in Italia, invece, si prevede che questo trend non corrisponderà alla realtà prima di cinque anni (2021). Il ritardo dell’Italia è facilmente confermato anche dal fatto che, attualmente, le aziende nella top 5 del mercato globale sono data company con un forte approccio customer centric (es. Amazon) ed è questa la direzione verso cui si dirigono gli sviluppi futuri nel mondo. Le data company si stanno crescentemente trasformando in attori dell’ambito della comunicazione attivando nuovi servizi di online advertising. Performance, riconoscibilità e coinvolgimento della marca sono destinati a cambiare e a crescere all’interno di una multicanalità sempre più frammentata. In questo scenario, si avvia verso il cambiamento anche il lavoro dei creativi che si converte in data driven creativity sotto la guida, appunto, dei tanti dati ora a disposizione. Raccolta dei dati, analisi, incrocio, test e prove di campagne pubblicitarie e di comunicazione si sta imponendo come il nuovo standard di creazione; il risultato è la produzione di un contenuto corretto per il giusto target, da veicolare sui canali più adatti al momento perfetto. I big data, se utilizzati in modo sapiente, possono portare livelli di ottimizzazione della comunicazione e del messaggio fino ad ora solo sognati, ma non sono in grado di dare una risposta a tutto. La strategia è la chiave di volta per il loro utilizzo e per trovare le risposte che la sola tecnologia non può fornire. A tal proposito l’Italia deve necessariamente adoperarsi per ridurre gli anni di ritardo accumulati in termini di media mix; alle aziende un ultimo messaggio deve arrivare forte e chiaro: non abbiate troppa paura di sperimentare e rischiare, siamo di fronte a una evoluzione inarrestabile.
Al termine dell’ultimo intervento è seguito un momento di confronto molto vivace, ricco di domande da parte del pubblico e caratterizzato da un produttivo dibattito incentrato sull’argomento trattato.
Assosvezia ringrazia l’autorevole panel di relatori, che ha gentilmente accettato di prendere parte al seminario, e tutti i partecipanti del pubblico che hanno saputo dare un contributo essenziale alla discussione.
www.assosvezia.it | testo di Viola Albertini | foto di Ida Montrasio | video di IKEA