Qual è il valore della cultura aziendale? Esiste una cultura migliore delle altre per la propria azienda? Queste e tante altre domande sono state la base di partenza per approfondire l’argomento e far sviluppare il confronto tra i partecipanti al seminario “La cultura vincente italo-svedese” organizzato in collaborazione con il nostro associato Boyden.
Il tema della cultura aziendale e della sua trasformazione è stato introdotto da Marianne Fröberg e Michele Marchesan, relatori dell’incontro e consulenti di Boyden. Anche se non ci soffermiamo spesso a pensarci, la cultura aziendale è sempre presente in ogni realtà e può essere la chiave del successo. Nella particolare situazione delle aziende internazionali accade, poi, che alla cultura di origine si sommi quella dei Paesi in cui si trovano a operare e questa convivenza può portare dei rischi, ma anche tanti risvolti positivi. Nel concreto, prendendo in analisi la cultura svedese e quella italiana che sembrano essere agli antipodi o addirittura speculari, si scopre che possono completarsi a vicenda creando una cultura ottimizzata.
Ecco alcuni esempi:
- Pianificazione vs flessibilità: nella cultura svedese ogni aspetto della vita privata e aziendale viene pianificata per non rischiare di avere brutte sorprese. Insieme alla puntualità, questa accurata organizzazione del tempo e delle attività riesce a semplificare la vita. Al contrario, l’Italia è famosa per la sua flessibilità e per la scarsa pianificazione che, però, si traducono in un’eccezionale capacità di gestire gli imprevisti. Ma cosa succede se, in un contesto ad alto tasso di cultura svedese, accade un imprevisto? E la gestione italiana degli eventi ricorrenti è ottimizzata o potrebbe migliorare?
- Tecnologia vs dimensione umana: in Svezia è largamente diffusa una grande fiducia nei confronti della tecnologia. Infatti, non mancano i cosiddetti early adopters che prima degli altri credono nelle potenzialità della tecnologia di governare e semplificare la vita. All’opposto, in Italia, la tecnologia è vista al servizio dell’uomo, a cui viene riservato il posto più in alto nella gerarchia. Dunque, ben vengano tutte le innovazioni che favoriscono l’interazione, mentre le altre verranno adottate solo in un secondo momento dato che non hanno impatto diretto sulla dimensione umana. In Svezia, dunque, come vengono gestiti i problemi quando escono dagli schemi rigidi della tecnologia?
- Contenuto vs forma: se alla base del design scandinavo c’è prima di tutto la funzionalità, è perché la cultura svedese dà molta più importanza alla sostanza che all’apparenza e ciò si ritrova anche nelle relazioni sociali. In Italia, invece, impera il culto del bello, che tutto regola e a volte prende il sopravvento sulla funzione. Qui il senso estetico e l’apparenza non sono valori di minore importanza ed è parte del fascino del tanto apprezzato Made in Italy. Ma se poi, a cercar soltanto ciò che appaga l’occhio, si perdesse completamente di vista il motivo per cui si fa o si crea qualcosa?
Quando si ha a che fare con caratteristiche opposte bisogna trovare il modo di sfruttarle al meglio creando una cultura vincente. La contaminazione reciproca sembra essere la strada migliore da percorrere attingendo da entrambe le culture ciò che serve per creare processi e regole adatti. Una cultura ben definita è un vantaggio competitivo e va sfruttata. La discussione interna e il confronto non sono sempre facili, ma servono per implementare la cultura aziendale. Coinvolgendo i collaboratori nella costruzione di un sistema di valori condivisi porterà, prima di tutto, un cambiamento nei processi e poi nel comportamento dei dipendenti. La divulgazione funziona sempre meglio dell’imposizione. Più in generale, quando l’azienda si trova a dover compiere delle scelte, è bene che lo faccia tenendo in conto le differenze culturali.
E voi cosa ne pensate? Vi siete mai soffermati a riflettere su differenze e potenzialità? Come vivete l’unione delle due culture e come si concretizza all’interno della vostra realtà? Fateci sapere!
www.assosvezia.it | testo e foto di Viola Albertini