Economic Outlook Italia – VIII Edizione

Date: 03-05-2017  

Economic Outlook Italia – VIII Edizione

Il Bel Paese in un ritratto a luci e ombre

Milano, 3 maggio 2017 – Ancora una volta Assosvezia e il suo associato Deutsche Bank hanno unito le forze per dar vita all’ottava edizione dell’Economic Outlook, l’aggiornamento su economia e finanza a livello globale, europeo e, soprattutto, sull’Italia, realizzato ad hoc per la Camera di Commercio Italo-Svedese. L’approfondimento ha come scopo ultimo quello di fornire strumenti di comprensione e business utili a rafforzare i processi decisionali delle aziende svedesi in Italia.

Davide Binaghi, Vice Presidente di Assosvezia, ha fatto gli onori casa, dando il benvenuto ai presenti e ringraziando i relatori di Deutsche Bank Luigi SottileHead DPM Italy Team e Michele BovenziDiscretionary Portfolio Manager, a cui ha presto lasciato la parola per poter entrare subito nel vivo del discorso. L’analisi è partita dal più ampio contesto globale, approfondendo le previsioni relative al biennio 2017-2018:

  • Crescita globale: 2017: 3,5%, 2018: 3,7%. L’eurozona subirà un lieve calo a causa della Brexit;
  • USA e Giappone: entrambe le nazioni miglioreranno la loro crescita economica. Per gli Stati Uniti rimane ancora l’incognita sulla riforma fiscale annunciata, di cui però si sa ancora troppo poco per poter avanzare ipotesi più precise;
  • Cina: manterrà la posizione con fatica ed è previsto un rallentamento in quanto non è più un Paese in crescita, infatti il livello di sviluppo raggiunto è paragonabile a quello dei Paesi Occidentali;
  • Unione Europea: si ritiene che la sua crescita rimarrà stabile e dovrebbe essere definitivamente uscita dal periodo di austerity. In generale, uno scenario in miglioramento;
  • Inflazione: più o meno in tutto il mondo ci si attende che rimanga bassa (USA 2017: 1,9%, 2018: 2% – UE 2017: 1,7%, 2018: 1,5%).

Esistono, però, alcuni fattori di natura politica che rappresentano un’incognita – se non addirittura un rischio – all’interno di specifici scenari:

  • Brexit: comincia a prender realmente forma, dato che in queste settimane si stanno svolgendo le prime negoziazioni tra Regno Unito e Unione Europea. Le trattative si preannunciano lunghe e difficili e lasciano presagire che si tratterà di una Hard Brexit. Inoltre, dopo un primo momento in cui non si sono registrate particolari ripercussioni economico-finanziarie, a partire da questo anno si assiste a un rallentamento e le previsioni di crescita del PIL del Regno Unito si stanno posizionando su livelli più bassi (2016: 1,8%, 2017: 1,6%, 2018: 1,3%);
  • Elezioni: in vari Stati – tra cui Olanda, Francia, Stati Uniti e Germania – c’è stata o ci sarà a breve una importante chiamata alle urne per un appuntamento elettorale dal grande valore politico, sicuramente in grado di incidere molto sul loro prossimo andamento economico-finanziario;
  • Populismo: l’ondata anti-establishment che negli ultimi anni si è largamente diffusa in tante democrazie sembrerebbe aver raggiunto il suo picco massimo e da questo momento cominciare la sua discesa, ipotesi supportata anche dalla disfatta subita alle recenti elezioni in vari Paesi;
  • Banche Centrali: stanno adottando politiche sempre più distanti tra loro. La Federal Reserve è in traiettoria di rialzo dei tassi di interesse, mentre la BCE ha scelto di essere estremamente più accomodante in fatto di politica monetaria.

La panoramica sull’Italia

Spostando il focus sull’Italia, innanzitutto bisogna fare una premessa: esiste un gap consistente tra la percezione che le persone hanno dell’andamento del Paese e la realtà effettiva delle cose. Infatti le statistiche ufficiali non rivelano cambiamenti trascendentali né in atto né in prospettiva per il prossimo biennio, ma rimane l’idea diffusa che, invece, la situazione stia nettamente peggiorando. La sensazione che in molti hanno si impernia su tre punti principali: crescita economica scarsa, la popolazione che invecchia e un Sistema-Paese poco competitivo. Quel che ci dicono i dati ufficiali, però, è che di per sé la crescita in Italia non è bassa, sebbene rimanga comunque inferiore rispetto alla media europea. Questa percezione falsata della reale situazione economica del Paese è dovuta anche al forte sbilanciamento tra l’alto debito pubblico e la grande ricchezza privata della popolazione, il doppio in proporzione. Proprio quest’ultima, unitamente all’intervento della BCE, è stata la nostra ancora di salvezza durante la crisi. La crescita è ostacolata dall’importante debito pubblico e non riesce a compensare la velocità a cui aumenta: la buona notizia è che siamo riusciti ad allungare la vita media residua del debito. Si calcola che nel 2020 l’Italia toccherà il picco più alto del debito sul PIL, in base alle previsioni OCSE, e che da quel momento comincerà la discesa verso livelli meno critici. Inoltre è sempre presente e di gran rilevanza il tema del cuneo fiscale, ancora troppo elevato nel nostro Paese.

Un’altra questione che affligge l’Italia è il calo della produttività. Mal comune, mezzo gaudio: il problema colpisce anche altri Paesi. Infatti pure negli Stati Uniti gli esperti si stanno interrogando sulle ragioni alla base di questo fenomeno che registra una grande differenza di risultati in termini di resa rispetto a 10 anni fa. Una delle principali cause risiede nel fatto che, rispetto al passato, oggi gran parte dei lavoratori nei Paesi sviluppati non sono più impiegati nella manifattura, ma fanno parte del settore terziario, si occupano di servizi e studiano come migliorare la produttività in futuro. Si sta però cercando di cambiare rotta con lo sviluppo e l’introduzione del piano nazionale Industria 4.0 che ha come scopo quello di sostenere e aiutare l’industria manifatturiera a crescere, recuperando il divario con gli altri Paesi. In questo panorama purtroppo rimane pressoché invariato un altro grosso problema, ovvero la cronica inefficienza della pubblica amministrazione nostrana, un fattore che pesa molto sulla crescita ridotta del PIL italiano. Come già sottolineato da tempo, se non si fa qualcosa per risolvere o quantomeno migliorare lo stato di questo settore, gli investimenti esteri saranno sempre più a rischio, poiché è proprio questo l’ostacolo più scoraggiante per il loro arrivo. È una fotografia dell’Italia a luci e ombre: si vede all’orizzonte la possibilità di miglioramento accompagnata da una discreta ripresa della fiducia da parte di consumatori e aziende, ma affinché l’avanzamento si concretizzi, bisogna spingere sull’acceleratore delle riforme indispensabili.

Per scendere ancora più in dettaglio sullo stato di salute economico dell’Italia, i relatori hanno proceduto ad analizzare l’andamento congiunturale per settore. Tra i singoli comparti, una nota di merito va ad automotive e largo consumo, che tra tutti i settori hanno registrato una percentuale di miglioramento maggiore; in fase calante, invece, il sistema moda, gli intermedi chimici, i prodotti in metallo e gli elettrodomestici. Un buon segno a cui dar risalto è quello legato alla ripresa interna che si contraddistingue per la sua freschezza: l’impresa è giovane e viva. Un’impronta positiva è lasciata anche dalla domanda interna, tornata finalmente a crescere così come l’export che, nel complesso, non va male: +1,2% complessivo e miglior performance per i prodotti farmaceutici, chimici e alimentari, questi ultimi in netto incremento grazie al lavoro di valorizzazione svolto a livello internazionale. Un risultato positivo che potrebbe anche migliorare se l’Italia riuscisse a rendersi più competitiva rispetto alla concorrenza. Calo dell’export verso i Paesi Emergenti, invece, in quanto le loro economie non stanno andando molto bene e di conseguenza diminuisce la loro domanda.

Alcuni segnali di miglioramento sul fronte del mercato del lavoro in Italia: con l’introduzione del Jobs Act è notevolmente cresciuto il numero dei contratti a tempo indeterminato. Sulla formazione, invece, si investe ancora troppo poco e questa rappresenta un’ipoteca sul futuro: all’estero, tramite modalità e sistemi differenti, gli Stati puntano sulla preparazione dei propri giovani, la forza lavoro dei prossimi decenni. Il pacchetto di riforme da mettere in campo, però, non può fermarsi al Jobs Act: è di primaria importanza l’introduzione di nuove e più adeguate politiche di inclusione sociale a sostegno delle famiglie e delle donne. L’obiettivo per il futuro è che il mercato del lavoro in Italia possa contraddistinguersi per flessibilità, sostegno sociale, competenze aggiornate e concorrenziali, alternanza scuola-lavoro e costo del lavoro meno elevato.

Le conclusioni da trarre

L’Italia si trova in una situazione seria, ma non grave. Ha su di sé un cielo generalmente sereno, però ci sono delle nuvole da allontanare prima di poter arrivare a un funzionamento sano e a pieno regime. Il nostro Paese può e deve migliorare: dalla sua parte ha una serie di indicatori positivi e un grande potenziale per far crescere il suo PIL, non dimenticando che i problemi non sono solo interni e strutturali, ma possono anche essere una conseguenza di rapporti e relazioni con gli altri Stati. La sfida più importante, adesso, è di riuscire a potenziare la competitività e bisognerà farlo puntando su un pacchetto di riforme specifico: sebbene il Jobs Act stia dando i suoi frutti, bisogna continuare a lavorare sulla flessibilità del mercato del lavoro, sulla riduzione del cuneo fiscale e sull’introduzione di politiche di inclusione sociale concrete.

Assosvezia ringrazia Deutsche Bank – e in particolare i relatori Luigi Sottile e Michele Bovenzi – che puntualmente ad ogni edizione realizzano e offrono a soci e associati del mondo italo-svedese una analisi aggiornata e di altissimo livello.

www.assosvezia.it | Testo e foto di Viola Albertini


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