Economic Outlook Italia – VI Edizione

Date: 31-03-2016  

Economic Outlook Italia – VI Edizione

CINQUE FATTORI DI VOLATILITÀ

Milano, 31 marzo 2016 – La sesta edizione dell’Economic Outlook Italia, realizzato da Assosvezia in collaborazione con l’associato Deutsche Bank, si è svolta nella sede della Camera di Commercio Italo-Svedese. Tanti i partecipanti, tra membri storici e nuovi ingressi, per un approfondimento sullo stato di salute dell’economia e della finanza a livello globale, europeo e del nostro Paese. Ancora una volta il Tesoriere e Consigliere di Assosvezia Roberto Rota, Direttore Generale di Atlas Copco Italia, si è gentilmente prestato a svolgere il ruolo di moderatore dell’incontro, mentre gli ormai rodati Luigi Sottile, Head DPM Italy Team e Michele Bovenzi, Discretionary Portfolio Manager, entrambi di Deutsche Bank, hanno fornito una fotografia puntuale della degli accadimenti economici in corso.

Terminata l’introduzione di Roberto Rota, che ha ringraziato Deutsche Bank per la collaborazione, la parola è passata a Luigi Sottile, che è subito partito con l’analisi di ciò che è successo nei sei mesi trascorsi dall’ultimo Economic Outlook. Il 2016 ha avuto un inizio spumeggiante, almeno per quanto riguarda il primo quarto dell’anno, ma è caratterizzato da un’estrema volatilità che è iniziata ad Agosto 2015. Il motivo scatenante è stato la scelta dalla BPOC (Banca Popolare Cinese) di svalutare lo yen. Questa è stata la concretizzazione del fatto che la crescita economica della Cina, sebbene sia stata estremamente consistente per tanti anni, non potesse continuare all’infinito con gli stessi ritmi sostenuti. Si è potuto toccare con mano il rallentamento del trend di crescita cinese, tanto prevedibile quanto poco desiderato. Dunque da metà 2015 si può dire che sia iniziato un mondo nuovo: l’intensità della reazione dei mercati alla notizia cinese indica un grande nervosismo degli investitori. La causa scatenante non è una sola, bensì una serie di elementi di entità importante che si sono concentrati in un lasso di tempo piuttosto contenuto, circa nove mesi:

  • Il rallentamento della Cina
  • Il petrolio
  • I fondi sovrani
  • Le Banche Centrali
  • La Brexit

La cattiva comunicazione delle mosse della Cina ha sicuramente contribuito a caricare i mercati di preoccupazione, alimentando il sentimento di incertezza strisciante che ha scatenato una grande volatilità. Infatti, il messaggio che gli investitori hanno recepito è stato quello di un arresto della crescita della Cina, la quale non riuscirebbe più a tenere il passo con il dollaro. Si sono così diffuse previsioni catastrofiche sul futuro del Gigante Asiatico che hanno trascinato con sé anche il mercato delle materie prime, a discapito dei Paesi emergenti, e del petrolio. Quest’ultimo, poi, era già interessato da una serie di problematiche legate a motivi strutturali di sbilancio tra domanda e offerta, oltre che ad alcune politiche adottate. I fondi sovrani dei Paesi produttori di petrolio (come la Norvegia, per fare un esempio scandinavo) hanno smesso di investire e acquistare come prima, arrivando anche a dover dismettere vari asset. Dunque la fotografia della situazione relativa all’industria del petrolio mette in evidenza il numero esagerato di investimenti, come l’apertura di troppi nuovi pozzi di estrazione, che poi non hanno ripagato come ci si attendeva. Una delle cause è la scelta degli Stati Uniti di spostare i propri investimenti sul fracking, con la conseguenza di una minore domanda e il crollo del prezzo del petrolio. L’Iran, inoltre, ora che sono terminate le sanzioni a cui era soggetto, si sta per riaffacciare sul mercato dell’oro nero. Quando l’Iran sarà tornato a regime con l’estrazione di barili di petrolio, sarà di nuovo un produttore di grande rilievo e quindi un competitor molto pericoloso per l’Arabia Saudita, che vive solo di questa industria ed è proprietaria di un fondo sovrano consistente.

Che la Cina non possa crescere per sempre ai ritmi serratissimi del periodo 2006-2007 è fisiologico e proprio ora stiamo vivendo il momento del suo rallentamento. È un Paese in evoluzione, che cerca di cambiare pelle e di transitare verso un’organizzazione e una struttura di stampo capitalistico e occidentale. Anche le produzioni stanno cambiando, passando da beni a bassissimo margine, ormai subappaltati a Paesi in cui il costo del lavoro è ancora più conveniente, a servizi di vario genere. Si tratta di un cambiamento talmente radicale che è impossibile che inizi e si concluda nel giro di soli pochi mesi. Dunque la Cina non sta collassando, non c’è trauma o recessione, ma si tratta di una fase di soft landing, una transizione verso una differente modalità di crescita.

Per quanto riguarda le Banche Centrali, sorge sempre di più il dubbio che il loro operato stia perdendo di incisività ed efficacia sui mercati. La questione della politica monetaria è stata troppo trascurata, avendo riposto un’eccessiva fiducia nella capacità delle Banche Centrali di risolvere qualsiasi tipo di problema. Infatti esistono dei limiti oggettivi, anche se si stanno già adoperando per fare tutto quello che è in loro potere. Un intervento necessario è quello dell’introduzione di un nuovo cuneo fiscale, sia per l’Eurozona, sia per gli USA.

La Brexit, ultima della lista dei fattori che hanno contribuito allo stato attuale dell’economia e dei mercati, è un argomento non nuovo che troverà la sua risposta finale il prossimo 23 giugno, quando gli inglesi saranno chiamati alle urne a decidere se rimanere oppure uscire dall’Unione Europea. Il rischio dell’uscita è concreto e già si sono registrati i primi effetti sull’andamento della sterlina: il calo di quest’ultima nei confronti dell’euro è stato di non poco conto e alcune conseguenze già pesano sul mercato azionario inglese. Il dollaro, invece, avrebbe da guadagnarci. L’incertezza che porta con sé questo possibile cambiamento è fonte di disturbo per i mercati e non fa altro che accrescere la volatilità che già si percepisce. L’Inghilterra rimane divisa dalla questione: il mondo industriale è assolutamente contrario all’uscita, in quanto avrebbe solo da perderci dal punto di vista economico; in altri strati della società, invece, domina una componente emotiva molto forte, che spinge verso la volontà di tornare ad essere del tutto indipendenti, supportata anche dalle tante difficoltà di gestione e collaborazione con la UE. Il recente accordo raggiunto tra la Cancelliera tedesca Angela Merkel e il Premier britannico David Cameron potrebbe spingere l’Inghilterra a tenere più in considerazione le ragioni della convenienza economica e meno quelle emotive.

Al termine di questa analisi dei fattori negativi e di disturbo che pesano sull’andamento globale e dell’Unione Europea, la parola è passata a Michele Bovenzi, che ha analizzato lo stato di salute dell’economia, prima da un punto di vista generale e poi più nello specifico in Italia. Gli Stati Uniti, ad esempio, hanno visto il loro PIL crescere del 2-3% dal 2010 fino ad oggi. Per quanto non si tratti una percentuale troppo elevata, in termini reali è un dato molto interessante, specialmente per un Paese già sviluppato come gli USA. Anche il tasso di disoccupazione è calato significativamente, infatti si calcola che ogni mese vengano creati 180-200 mila nuovi posti di lavoro. L’inflazione sui prezzi e sui redditi registra dei timidi segnali di ripresa. Si può dire che si tratti di una situazione di buona salute generale. Una nota negativa, però, riguarda il settore manifatturiero che è in evidente affanno. A controbilanciare queste difficoltà c’è il settore dei servizi, che invece è in grande espansione (un po’ come sta succedendo in Cina, anche se lì è un ribilanciamento dell’economia, mentre negli Stati Uniti è segnale dal valore differente). Il petrolio è un compartimento dell’economia statunitense parecchio florido, tanto che negli ultimi anni gli USA si stanno giocando con l’Arabia Saudita il ruolo di leader mondiale nella produzione dell’oro nero. Pur essendo in possesso di grandi capacità strutturali, le previsioni sul futuro dell’economia degli Stati Uniti sono molto volatili e la sensazione è che ci si possa aspettare l’arrivo di tempi variabili.

Spostando il discorso all’Eurozona, si nota che il contesto generale, dopo anni di sofferenza e austerity, sta intraprendendo lo stesso percorso di ripresa compiuto dagli USA, ma con ben 3 anni di ritardo. Da marzo 2015 si è messa in moto la ripresa e ora lo stato di salute è abbastanza buono, con una crescita che si è attestata sull’1,5% negli ultimi anni. L’Eurozona, però, non è un’isola felice: infatti le importazioni sono cresciute più delle esportazioni, perché il resto del mondo non ha saputo né potuto acquistare le nostre produzioni come ci si attendeva. In generale, la crescita effettiva rimane un pochino più bassa rispetto a quella stimata. Un altro fattore di pericolo è rappresentato dai governi. Poiché l’austerity che ha detratto il PIL negli anni passati è una realtà che sta venendo meno, i governi hanno ripreso a spendere, ma sarebbe meglio se aumentassero gli investimenti. Gli Stati Uniti hanno investito in modo esagerato su realtà che alla fine non hanno pagato come si sperava, invece su questa sponda dell’oceano noi ci stiamo muovendo ancora troppo timidamente. È proprio per questo motivo che l’Europa non è ancora riuscita a recuperare quanto perso durante gli anni di crisi e austerity. Per raggiungere questo fondamentale obiettivo sarà sì necessario ridurre le tasse, ma anche aumentare gli investimenti. Inoltre, ultimamente si percepisce un clima di minore fiducia e ciò porta ancora di più a prendere tempo per finalizzare gli investimenti.

Dunque la fotografia della condizione in cui si trova l’Eurozona mostra quest’area come quella con maggiore potenziale, anche se all’orizzonte si intravedono ancora rischi e nubi che non si possono ignorare. La situazione attuale è all’opposto di quella precedente, perché tanto è stato fatto per porre rimedio ai molti problemi che ci avevano fatti sprofondare nella crisi, ma manca ancora la spinta di positività e fiducia per portare a termine gli investimenti necessari. Ultimo punto di interesse riguardante l’UE è quello sulla ripresa del credito e della Banca Centrale Europea. Al momento le banche dispongono di una vasta liquidità e ciò dovrebbe tramutarsi in una disponibilità a fornire il credito anche a quelle imprese medio-piccole che prima non riuscivano ad accedervi. È un volano di fondamentale importanza che racchiude in sé una crescita potenziale che può arrivare fino al 4%.

Si è giunti infine a parlare dell’Italia, che ancora non è riuscita a crescere quanto dovrebbe. In base alle statistiche, è dal 1996 che l’Italia non riesce a superare la media di crescita europea: il Bel Paese ha un problema di numeri che si può ormai dire cronico. Il suo sistema bancario è attraversato da varie crepe, sebbene l’Italia sia un Paese di per sé ricco e fondamentalmente più autosufficiente di tanti altri, a partire dagli USA per arrivare fino alla Spagna, che a noi assomiglia molto per situazione e struttura. Le prospettive di crescita del PIL sono ulteriormente frenate per via del nostro debito pubblico molto alto, più elevato di quello degli altri Paesi con cui ci si confronta e gli interventi messi in campo dalla BCE sono stati per l’Italia molto più benefici che per qualsiasi altro Stato della UE. Un altro tasto dolente è quello delle esportazioni, che non marciano quanto dovrebbero. Andando ad analizzare gli aspetti positivi dell’Italia, va innanzitutto sottolineato un grande miglioramento riguardo al tasso di disoccupazione che è calato del 2% in un anno. Dunque i cambiamenti relativi al mondo del lavoro sembrano essere indirizzati su una buona strada e si intravedono ulteriori prospettive positive derivanti dai benefici che possiamo trarre dal miglioramento delle condizioni di credito, nel nostro Paese più che in ogni altro facente parte dell’Unione Europea. Un altro dato da non sottovalutare è la fiducia, che proprio ora ha raggiunto i livelli più alti di sempre. L’Italia è stata brava nell’allontanarsi dalle sorti economiche della Spagna, fino ad arrivare ad azzerare lo spread corporate.

Quello che si delinea è uno scenario complesso, caratterizzato da elementi fondamentali molto positivi e alcuni potenziali pericoli, ma comunque il rischio di una volatilità estrema, che sta già toccando altre realtà, non sembra essere particolarmente accentuato. Questa fase interlocutoria è il momento più giusto per continuare a portare avanti le riforme (es. taglio del costo del lavoro, riduzione del cuneo fiscale e aggiornamento della cultura del lavoro), migliorare la propria competitività e far crescere gli investimenti e la domanda interna.

È importante che gli investimenti che andranno necessariamente portati a termine, il prima possibile, siano responsabili e sostenibili, come suggerito da Deutsche Bank attraverso i loro prodotti presentati.

Ringraziamo Deutsche Bank, Luigi Sottile e Michele Bovenzi che, nella veste di relatori, si sono prestati ancora una volta a fornire analisi e insight di gran valore; il pubblico di partecipanti per l’attenzione e lo scambio interessante che hanno generato con le loro domande.

www.assosvezia.it | Testo e foto di Viola Albertini


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